Intestino: il legame tra disturbi dell’umore e microbiota intestinale
Il legame tra microbiota e disturbi dell’umore è uno degli argomenti più intriganti e controversi della ricerca scientifica. Nuovi studi rilevano come la comunicazione bidirezionale (cervello-intestino e intestino-cervello) possa influenzare anche la salute del cervello. Per Antonio Gasbarrini, responsabile di gastroenterologia del Policlinico Gemelli di Roma: «Tutto parte dal nostro intestino, a cui dovremmo guardare con lo stesso interesse riposto nei confronti del cervello».
Se l’esistenza di una comunicazione dal cervello all’intestino era già consolidata, la ricerca inversa sugli effetti causati dall’intestino sul cervello sta dando risultati molto interessanti e utili per ciò che riguarda la diagnosi di disturbi mentali come ansia e depressione e l’eventuale ruolo di supporto fornito dai probiotici.
Ansia e depressione identificabili dal “profilo” batterico del microbiota
In Italia, l’ISTAT attesta che solo nel 2017 ben il 7% della popolazione oltre i 14 anni, stiamo parlando di circa 3,7 milioni di persone, ha sofferto di forme ansioso-depressive con un conseguente deterioramento delle funzioni cognitive. Le terapie per trattare queste condizioni sono solitamente basate sulla gestione dei sintomi, attraverso l’uso di psicofarmaci e psicoterapia. Ora, visto l’ampio spettro di diffusione di questi disturbi e alla luce degli ultimi studi sul ruolo dei batteri intestinali nei comportamenti umani, è importante conoscere la composizione soggettiva del microbiota in virtù della diagnosi di questi disturbi.
Il ruolo dei batteri intestinali sul comportamento
Scendiamo nei dettagli delle ricerche e nella composizione del microbiota: per gli studiosi ansia e depressione possono relazionarsi a disordini quali-quantitativi dei batteri che fanno parte del microbiota intestinale. In parole povere le funzioni dei neuroni e dei neurotrasmettitori possono essere disturbate dalla presenza o meno di alcuni batteri nel nostro intestino. Vediamo quali sono e come ciò sia possibile.
Esaminando ampie popolazioni di flora batterica intestinale, i medici hanno scoperto che i batteri Faecalibacterium e Coprococcus sono associabili a standard di qualità della vita più elevati. È stato scoperto che le persone affette da depressione, rispetto a quelle considerate sane, hanno una composizione della flora intestinale alterata, caratterizzata dal fatto che le due specie batteriche Coprococcus e Dialister sono assenti o in netta diminuzione.
Da un’altra ricerca, che coinvolgeva gruppi di pazienti depressi e individui sani, è emerso come fosse possibile riconoscere i pazienti affetti da depressione attraverso l’osservazione del microbiota di entrambi i gruppi. All’interno dello stesso gruppo di depressi è stato inoltre possibile prevedere, sempre sulla base dei batteri presenti nella flora batterica, quelli che avrebbero resistito ai trattamenti antidepressivi da quelli che avrebbero risposto positivamente.
Ma da dove deriverebbero queste alterazioni della composizione della flora batterica intestinale capaci di influenzare il cervello e i comportamenti umani?
Ci sono diverse ipotesi. Quella oggi più accreditata ci dice che il problema scaturirebbe da una maggiore permeabilità della parete intestinale, che perde la sua funzione di “barriera” e favorisce il passaggio di lipopolisaccaridi (LPS) e altre tossine batteriche verso l’esterno, nella circolazione sanguigna.
Attraverso questo passaggio le sostanze tossiche giungerebbero fino al cervello, dove il plesso coroideo, una sorta di cancello celebrale che protegge il cervello dalle infiammazioni intestinali, si chiude per impedire il propagarsi dell’infezione. Questa chiusura lascia il cervello isolato dal resto dell’organismo generando stati emotivi di ansia e depressione.
Lo stesso microbiota è la sede in cui vengono prodotti e regolati neurotrasmettitori come la serotonina e l’acido gamma-amminobutirrico (GABA), responsabili rispettivamente della serenità e dello stato di calma. Se l’azione di questi neurotrasmettitori viene inibita da batteri che infiammano l’intestino, si genera una modificazione cerebrale che porta a disturbi psicologici.
Probiotici e psicobiotici a supporto dei disturbi dell’umore
Da quando detto ne consegue che agire sull’infiammazione intestinale non solo migliora la salute dell’intestino, ma può influenzare indirettamente la salute mentale. Fermo restando che le attuali cure a base di psicofarmaci siano quelle più attestate per gestire stati depressivi e ansiosi, non si può negare che il supporto dei probiotici può essere vantaggioso, dato che agendo sull’equilibrio della flora batterica intestinale si innesca una reazione a catena benefica che si propaga fino al cervello influendo sull’umore.
Per quanto riguarda i probiotici, alcuni ricercatori hanno studiato l’efficacia di uno specifico Bifidobatterio nell’alleviare i sintomi della depressione e scoperto che un altro batterio “buono”, il Lactobacillus rhamnosus, sarebbe efficace contro gli stati d’ansia perché agisce sul GABA, il neurotrasmettitore della calma. Ai probiotici si affiancano i cosiddetti psicobiotici (definiti così da Ted Dinan dell’Università di Cork per i loro effetti benefici sulla mente): alimenti ricchi di fibre e fermentati per tempi lunghissimi come il kefir o i crauti, che contengono ulteriori ceppi di batteri comunicanti con la corteccia surrenale del cervello grazie all’asse di comunicazione sistema nervoso enterico - sistema nervoso centrale. Gli psicobiotici possono aiutare a migliorare l’umore, gestire meglio le emozioni e ottimizzare le funzioni cognitive.
Tutti questi dati, emersi dalle recenti ricerche, lasciano ben sperare sulle possibili applicazioni di supporto terapeutico dei probiotici e dei psicobiotici anche per il trattamento dei disturbi dell’umore. Senza dimenticare che i probiotici sono già un toccasana per il benessere diretto dell’intestino e per l’equilibrio delle flora batterica.
Fonti:
Microbioma.it, Fondazione Veronesi, Nature.com, IlSole24Ore.com, Medicopaziente.it, LaRepubblica.it